Il disegno è desiderio di esistenza. La matita accarezza il foglio guidata da un istinto primordiale e intreccia segni, campiture, lotte, echi di storie che nascono dal profondo fino a prendere forma, corpo e peso. Le figure che disegno sono il mio specchio, si muovono nella solitudine di uno spazio vuoto lottando con il colore e si esprimono in una gestualità a volte maliziosa e

irriverente, a volte rassegnata e fragile: sono autoritratti che nascono dallo specchio, ma rivivono nuovamente sulla carta o sulla tela come anime inquiete tormentate dalla stessa sostanza nera che le compone. “L’immaginazione non è uno stato mentale: è l’esistenza stessa” scriveva William Blake, ed è qui che si aggrappa famelica la mia ricerca artistica.
Lo specchio diviene il Luogo dell’indagine sulla consistenza e lo spessore degli strati che ci dividono da un’identità virtuale, e si fa mio complice nell’atto di restituire la possibilità di un riscatto al corpo che annulla la sua fisicità, per ritrovarsi in una dimensione Altra, un Luogo destinato solo ai viaggiatori che sappiano abbandonarsi all’oblio della bellezza e dell’immaginazione. La riflessione estetica sul vissuto quotidiano, quasi meccanico e ciclico dei gesti, allude a un isolamento polare dell‘anima che ammette, e riflette, la sua condizione terrena e al tempo stesso illusoria.
Le figure divenute angeli caduti, sirene o animali fantastici emergono dai vuoti profondi in tutta la loro traboccante sensualità, per raccontare la materia fisica che solletica lo sguardo e lo lascia naufragare nella sua stessa fragile esibizione.
Qualsiasi cosa che si possa credere, anche se infinitamente fragile e debole è immagine di verità, Andrej Tarkovskij nello Stalker ci dice che “La debolezza è potenza, e la forza è niente. Quando l’uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido, così come l’albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza”, così le mie figure non chiedono altro se non esistere. La perizia quasi chirurgica, in punta di matita, con cui prendono forma raccoglie sul tessuto epidermico le tracce della vulnerabilità e delle miserie umane, tra dannazione e salvezza, la loro voce segreta dialoga con il colore e ci dice che il luogo misterioso in cui scompariamo non è altro che il luogo in cui siamo.